Ascoltare e vedere, quando il suono si fa arte

Strumenti antichi e installazioni contemporanee nella mostra della Fondazione Prada a Venezia

VENEZIA Ascoltare e vedere. Anche se la mostra aperta da qualche settimana a Venezia alla Fondazione Prada, in contemporanea alla Biennale Architettura, a Ca’ Corner della Regina - curata da Germano Celant - si intitola “Art or Sound”, ponendo apparentemente in contrapposizione l’elemento artistico e quello sonoro, è in realtà una simbiosi tra di essi attraverso i secoli (ma con un accento sul secondo Novecento e sul contemporaneo) quella che l’esposizione ci propone. Lungo i due piani del palazzo, sono riunite e assemblate oltre 180 opere e oggetti, tra automi e macchine musicali, dipinti, sculture, installazioni, strumenti comunque legati all’idea di sonorità. Si parte dai dipinti a soggetto musicale, quasi nature morte sonore, dell’inizio del Cinquecento, di Bartolomeo Veneto e Nicola Giolfino alle chitarre e violini in marmo intarsiato di Michele Antonio Grandi e Giovanni Battista Casarini, in piena età barocca, sino agli automi musicali settecenteschi, come gli orologi a forma di gabbietta dello svizzero Pierre Jacquet-Droz. Per arrivare poi agli strumenti automatici dell’Ottocento, come il pirofono, lo strunento a gas inventato nel 1870 da Frédéric Kastner che, se suonato, produce segnali luminosi. Si passa poi alle sperimentazioni-provocazioni del Futurismo e del Dadaismo, con l’”Intonarumori” di Luigi Russolo - distrutto nei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e ricostruito una quarantina d’anni fa - in grado di riprodurre i suoni della città e delle macchine della vita moderna. O l’onomatopeico Ciac Ciac di Giacomo Balla, per arrivare al readymade di Marcel Duchamp dedicato invece alla dimensione del silenzio nell’arte. Ma la mostra veneziana svolta poi decisamente sulla seconda parte del Novecento, partendo dalle sperimentazioni di fine anni Cinquanta del Gruppo Fluxus - con le scatole di Robert Morris, Nam June Paik e Bruce Nauman o le sculture cinetiche di Stephan von Huene - per arrivare agli assemblaggi del Nouveaux Realism di Arman e Jean Tinguely e alle suggestioni pop di Robert Rauschenberg, che con “Oracle”, una delle opere più importanti in mostra, realizza un’installazione “sonora” di grande forza con oggetti di recupero e materiali d’uso comune. E in esposizione sono opere di altri pop artisti come Tom Wesselmann e Claes Olde nburg, i pianoforti di Guenther Uecker e - monumentale - di un maestro come Joseph Beuys, fino a opere di “poveristi” come Michelangelo Pistoletto, con “Le Trombe del Giudizio” o Jannis Kounellis, che fonde suono e energia, in un’installazione che include un grande dipinto, che riproduce estratti della partitura del “Pulcinella” di Stravinskij, un violinista incaricato di eseguirla e una danzatroce di ballarla, in una continua ripetizione, in cui ogni elemento è indispensabile agli altri. La ricerca di “Art Or Sound”, arriva comunque sino alla contemporaneità attuale, dal “tamburino” di Maurizio Cattelan, in precario equilibrio su un fregio del palazzo, che ogni tanto si anima, al violoncello e violino azionati meccanicamente di Rebecca Horn, all’installazione “sensoriale” che stimola i suoi e le luci di Haroon Mirza. Una mostra di grande interesse, che si presenta in una veste quasi museale e che conferma la vocazione all’interdiscipolinarietà ormai imboccata dalle iniziative espositive della Fondazione Prada in laguna, dopo quella szeemaniana dello scorso anno con la riproposizione di “When attitudes become form”.

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