Appella del Mose, la Procura: «Niente assoluzione per Orsoni e Piva»
VENEZIA. Appello per le tangenti del Mose, la Procura Generale chiede di bocciare i ricorsi dell’ex Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva e dell’ex sindaco Giorgio Orsoni in merito alle accuse per cui in primo grado erano stati prosciolti per prescrizione (per un’altra accusa a testa erano stati assolti). Gli unici ritocchi alla sentenza sollecitati dalla Procura Generale sono effetto della prescrizione. Per il resto nessuna modifica sostanziale ma una generale conferma al dispositivo letto dal tribunale di Venezia il 14 settembre 2017 e già a sua volta segnato dal troppo tempo passato dalla commissione dei reati.
In oltre due ore e mezza di requisitoria, ieri pomeriggio davanti alla Corte presieduta da Carlo Citterio, il pg Alessandro Severi ha analizzato le posizioni dei sei imputati che hanno impugnato la sentenza (non lo hanno fatto l’ex eurodeputata Lia Sartori e l’architetto Danilo Turato, assolti) partendo da due capisaldi: la bontà delle indagini dei pm Ancilotto e Buccini e l’attendibilità delle dichiarazioni di Giovanni Mazzacurati per le quali le difese di Piva, Cinque e Falconi avevano chiesto la nullità o l’inutilizzabilità. «Era un deus ex machina, nessuno metteva in discussione la sua supremazia. Lui concepiva, altri eseguivano», ha detto il pg. E sul trasferimento in California: «È andato nella sua seconda casa, non lo ha fatto per non tornare mai più. E anche all’estero, non si è sottratto alla perizia del tribunale».
PIVA E ORSONI
L’ex presidente del Mav ha presentato appello per l’assoluzione nel merito dall’accusa di essere stata a libro paga di Mazzacurati, dopo che in primo grado era stata prosciolta per prescrizione. «Non ci sono elementi per poter dire che è evidente l’innocenza di Piva», ha chiarito il pg, «L’infedeltà di Piva è iniziata con la sua nomina». Un rapporto che si rompe, anni dopo, sulla questione delle cerniere. «Per Mazzacurati il sistema era chiaro: il soggetto pagato doveva obbedire. Piva, invece, si ribella. E le sue dimissioni sono sostanzialmente imposte». Il pg ha richiamato anche la questione del “prezzo chiuso” e della bonifica a Porto Marghera per la quale «L’imputata non è stata sfiorata dall’idea di bandire le gare perché i lavori dovevano andare al Consorzio».
Orsoni, invece, non mettendo in discussione nel merito l’accusa (prescritta) di aver percepito fondi in nero dal Consorzio Venezia Nuova nel corso della campagna elettorale, ha eccepito, forte di una sentenza della Cassazione, che al candidato sindaco non possa essere applicata la norma sul finanziamento illecito. Norma, quest’ultima, che parla però del candidato consigliere. «Nel momento in cui mi candido a sindaco, mi candido anche a consigliere comunale», ha chiarito il pg evidenziando come il candidato sindaco perdente entri di diritto in Consiglio, raggiunta una soglia minima di voti. Di qui la conclusione del rappresentante dell’accusa: «Non c’è spazio per una sentenza assolutoria con la formula del fatto che non è previsto dalla legge come reato».
il caso MATTEOLI
Dichiarazione di estinzione del reato per morte dell’imputato. Questa la richiesta della Procura Generale per l’ex ministro alle Infrastrutture Altero Matteoli, condannato a 4 anni per corruzione e deceduto prima che il collegio depositasse le motivazioni. Il suo difensore, l’avvocato Francesco Compagna, ha presentato appello, come ha spiegato nell’arringa, «per tutelare l’immagine di una persona che è stata tra le più alte cariche dello Stato» in un processo che, a suo dire, «ha tutelato la calunnia», riferendosi a Mazzacurati. «Non si può ipotizzare un processo alla memoria», ha evidenziato il magistrato.
CINQUE E GLI ALTRI
Chiesta la conferma della condanna a 4 anni per l’imprenditore romano Erasmo Cinque, amico di Matteoli. Per la Procura Generale «la sua condotta corruttiva è stata ai massimi livelli». Concesso a Cinque uno sconto minimo - 59mila euro partendo da 9,575 milioni - sulla quota parte della confisca per le bonifiche di Porto Marghera. Lieve riduzione della pena, in virtù della prescrizione nel frattempo maturata, per l’avvocato romano Corrado Crialese, ex presidente di Adria Infrastrutture: 1 anno e 7 mesi, contro 1 anno e 10 mesi in primo grado, per millantato credito. Cancellata completamente grazie alla prescrizione la condanna a 2 anni e 2 mesi per corruzione e finanziamento illecito per l’imprenditore veneziano Nicola Falconi. Prescrizione che è maturata il 7 aprile, sette anni e mezzo dopo l’ultima falsa fattura di retrocessione al Fondo neri. Si torna in aula l’11 giugno per le ultime difese.
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