Anziana uccisa, è indagata una vicina
Per l’omicidio di Lida Taffi Pamio, l’87enne uccisa il 20 dicembre dell’anno scorso nella sua casa di viale Vespucci, c’è un’indagata. È una donna, un’ inquilina dello stesso palazzo, quello al civico 13, dove viveva l’anziana assassinata. Il pubblico ministero di Venezia Federico Bressan ha dovuto scoprire le carte dell’accusa raccolte dagli investigatori della Squadra mobile perché nei giorni scorsi è stato dato l’incarico di una consulenza al medico legale padovano Luciana Caenazzo, in particolare un accertamento tecnico non ripetibile per il quale il codice di procedura penale obbliga il rappresentante dell’accusa di avvisare l’indagato, che deve nominare un difensore e può nominare anche un suo consulente tecnico. Alla dottoressa padovana sarebbero state consegnate le pantofole, che presumibilmente l’indagata calzava il giorno dell’omicidio: dovrà appurare se sulla suola e sulla tomaia vi siano chiazze di sangue e, nel caso lo trovasse, dovrà stabilire attraverso il Dna se appartengano a Lida Taffi Pamio. Da questo esame dipende il futuro dell’indagata: se sulle sue pantofole vi fosse sangue, sarebbe per lei difficile dimostrare di non aver avuto nulla a che fare con la brutale aggressione e l’omicidio dell’anziana vicina.
Luciana Caenazzo è il medico legale che è stata chiamata il giorno dopo il delitto per estrapolare il Dna dalle numerose chiazze di sangue sparse soprattutto nella stanza dove l’87enne mestrina è stata trovata uccisa, nella speranza che anche l’assassino si fosse ferito con quei quattro coltelli spezzati. Nelle altre stanze della sua abitazione il sangue era davvero poco e, soprattutto, non c’era neppure una goccia sulle scale. Una circostanza che gli investigatori hanno immediatamente rilevato. Una circostanza davvero strana, visto che Lida era stata uccisa con almeno dieci fendenti di coltello e l’omicida ha spezzato ben quattro coltelli da cucina prima di terminare la sua opera. Deve per forza di cose essersi schizzato del sangue della sua vittima, ma non c’era alcuna traccia sulle scale: gli inquirenti hanno cercato anche sulla porta d’ingresso e sulla strada, ma niente da fare. Una delle spiegazioni che si sono dati, adesso, è che chi ha ucciso non ha lasciato tracce perché non ha dovuto percorrere le scale, essendosi infilata subito in uno degli appartamenti dello stesso edificio dove abita e là essersi lavata. Un’intuizione che hanno avuto dopo, ma anche se l’avessero avuta nelle ore subito dopo l’omicidio avrebbero potuto fare poco. Certo, avrebbero potuto perquisire tutti gli appartamenti dell’edificio (sono sei), per cercare tracce di sangue, ma avrebbero avuto bisogno di immediate autorizzazioni e di avvocati difensori presenti, insomma non sarebbe stato facile.
La donna non è la prima sospettata, ma è la prima a finire sul registro degli indagati per l’omicidio. Gli inquirenti, visto la forza che l’aggressore ha utilizzato (Lida Pamio prima è stata riempita di pugni, poi è stata soffocata con della carta in bocca, quindi strangolata con un cavo elettrico, infine è stata colpita dieci volte con i coltelli), avevano pensato soprattutto a un uomo, ma non è escluso che possa essere stata una donna di corporatura robusta e magari non troppo in là con gli anni. Prima di lei i sospetti si erano concentrati su un uomo perché un testimone aveva raccontato, descrivendo una persona di sesso maschile, di averlo visto intorno all’ora dell’omicidio uscire dal portone. E una telefonata anonima in Questura, aveva indicato il nome e il cognome di un giovane che avrebbe potuto assomigliare a quella descrizione, ma alla fine i poliziotti hanno scoperto che l’anonimo non era altro che un ex fidanzato deluso e vendicativo: la sua ragazza si era messa con un altro, quello indicato con la telefonata.
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