Andrea, da 18 anni con la Sla: «Amo la vita»

La storia di un uomo che convive assieme alla sua famiglia con questa malattia: l’importante è che i miei cari stiano bene

QUARTO D’ALTINO. C’è chi è convinto che si possa essere felici, per davvero, solo con due braccia, due gambe, un fisico perfetto e magari un conto in banca gonfio. Andrea Zambon, due occhi azzurri come il mare che ama tanto, è la dimostrazione che per qualcuno la vita vale la pena di essere vissuta anche da un letto e che l’amore può fare miracoli, ma soprattutto che tutto quello che ci serve, è dentro di noi.

Per convincersene, basta stare un paio d’ore con lui, nella sua abitazione al civico 6 di via Bellini, prendere una sedia, guardarlo negli occhi e vedere il suo sorriso che illumina il volto, nonostante sia appena un accenno. A ridere sono i suoi occhi, che brillano quando la risposta alla domanda è affermativa, e le sopracciglia che inarca per indicare le lettere dell’alfabeto che gli servono per dare una forma ai pensieri. Perché Andrea parla con gli occhi, in tutti i sensi.

Oggi ha 49 anni, ma ne dimostra meno, perché la sua pelle è liscia come quella di un bambino. Ha scoperto la Sla quando ne aveva solo 31, e la sua malattia non era ancora conosciuta come oggi. Allora lavorava sulle navi da crociera per la Costa e girava i porti, amava il suo lavoro e ancor di più il mare. Da quando si è ammalato e ha capito che non avrebbe più potuto camminare, correre, fare nessun gesto volontario, ha subito detto a sua moglie, Maria Grazia Morgese: «Voglio vivere a tutti i costi, voglio vedere i miei figli crescere». E così è stato. Nonostante il suo fisico abbia smesso di rispondere ai comandi fino a diventare, piano piano, un guscio vuoto, lui non ha mai perso il sorriso. Quando è venuto il momento, ha programmato la tracheotomia e, da allora, circa quindici anni fa, ha iniziato a respirare con il diaframma l’aria che veniva immessa nel suo corpo. Oggi che i suoi tre ragazzi, Mariangela, 19, Francesco, 18 e Maria Cristina 16, sono adulti, vuole vedere i suoi nipoti nascere e fare il nonno.

Nella casa di via Bellini, un tranquillo quartiere residenziale di Quarto, la vita scorre un giorno alla volta. Andrea passa il tempo nel suo letto speciale, al piano terra dell’abitazione, o sulla sedia. Appese vicino a lui, le foto della famiglia, dei figli, di lui, raggiante, che porta in bicicletta sua moglie con l’abito elegante. Ha diversi amici che durante il giorno vengono a chiacchierare con lui, Diego e Valerio, volontari diventati come fratelli, e Antonio. Con loro legge i giornali, discute delle cose che gli interessano e segue i progressi della figlia, che studia Giurisprudenza alla Bocconi di Milano, sperando che presto passi l’esame anche suo figlio e magari intraprenda studi economici. È informato su tutto, ascolta telegiornali e trasmissioni finanziarie, la sua passione. Una donna sta con lui la notte ed è sorvegliata da una piccola telecamerina posta sul soffitto. E poi al suo fianco c’è sempre la donna della sua vita, sua moglie, un anno meno di lui, Maria Grazia, innamorata come il primo giorno. Lei, così come i suoi figli, lo capisce al volo: con uno sguardo, sa cosa vuole dire, cosa pensa, se è contento o se è arrabbiato, come chiunque. E poi c’è Artù, un bellissimo micione tigrato dal pelo lungo e due occhioni color del cielo, che se ne sta accoccolato sul suo petto.

La prima volta che si parla con Andrea, ci vuole tempo, amici e familiari hanno assegnato a una serie di numeri delle lettere e dialogano con Andrea e le sue sopracciglia velocemente. Chi, invece, lo vede per la prima volta, è più lento e spesso commette l’errore di pensare che non capisca, non senta, non ragioni, solo perché è immobile. Non è così. Sente anche le voci sussurrate e nonostante non si muova, il suo corpo ha una grande sensibilità. Ieri era venerdì, e ogni primo giorno del mese, Andrea fa la comunione, il diacono o nel caso di ieri Margherita, diacono donna, gli mette un pezzetto di particolare nell’acqua che poi il suo corpo assorbe. Nonostante ciò, però, spiega che il suo rapporto di fede, è solo tra lui e Dio. «Non sono contrario a chi decide di porre fine alla sua vita», dice, «rispetto la libertà di tutti. Ma io voglio vivere». E alla domanda diretta, posta quasi in punta dei piedi: «Sei felice di vivere così»? risponde senza esitazione, alzando le sopracciglia e sorridendo. «Sì». Ed è impossibile non credergli perché il suo sorriso illumina la stanza intera. Il segreto, spiega la moglie, è la positività, l’ottimismo, che fa parte di lui. Come quando aspetta che passi l’inverno per andare al mare a luglio. Ha scoperto una spiaggia, Torre dell’Orso nel Salento, che lo lascia senza fiato. Per lui, sentire l’odore del salso, guardare il mare anche se piove (quando erano piccoli controllava i figli in acqua), fare il bagno, sono cose che da sole danno senso all’esistenza.

A Torre dell’Orso ha quattro ombrelloni tutti per sè, posto in prima fila e delle persone che lo attendono con gioia, lo accompagnano in spiaggia anche se è brutto tempo e se un raggio di sole lo disturba, accorrono. C’è una cosa che lo fa piangere. Una volta, è andato da Padre Pio, ma lui, per sè, non chiede mai nulla. «Gli dico sempre», dice la moglie anticipando le sue parole, «perché non preghi Dio chiedendo qualche cosa per te? La guarigione? Ma lui dice di no, che non vuole, lui ha fatto un patto con Dio». A queste parole, ad Andrea scendono le lacrime. Il patto con Dio è questo: basta che la sua famiglia stia bene, il resto non importa, perché è contento così. È la questione più delicata, questa. «Non vuole chiedere di guarire, chiede che stiano bene le persone che ama». «Io ho provato tutto nella vita», ripete spesso nei momenti in cui lui e sua moglie parlano a lungo, «c’è chi non ha avuto questa fortuna».

Il prossimo anno compirà 50 anni, esattamente il 5 febbraio, e allora andrà a fare un viaggio con la famiglia: sua figlia vorrebbe portarlo a New York, ma la destinazione saranno probabilmente le Canarie, al mare, con una compagnia di volo che accetta il respiratore, che ha le batterie al litio.

Da specialisti e neurologi non va più, non servono. Non vuole fare sperimentazioni, perché il suo corpo ha raggiunto un equilibrio e teme che provando cure nuove, come ad esempio le staminali, il suo fisico ne potrebbe risentire. Vive giorno dopo giorno, sorridendo alla vita.

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