All’Ilva in cassa integrazione torna il timore di nuovi tagli

Sindacati preoccupati per l’annuncio di altri esuberi che potrebbero interessare anche il terminal  di Porto Marghera dove martedì è prevista un’assemblea. Attesa per l’incontro con il ministro
Da un paio di mesi una sessantina, dei circa 120 occupati nel terminal logistico dell’Ilva a Marghera, sono in cassa integrazione straordinaria a rotazione, e ora temono il peggio. Per martedì prossimo a Marghera è prevista un’assemblea sindacale per fare il punto della situazione e decidere nuove iniziative di protesta, in accordo con i colleghi di Taranto. La nuova mobilitazione dei lavoratori arriva dopo l’annuncio di nuovi tagli arrivato dall’offerta di acquisto per rilevare tutti gli stabilimenti italiani dell’llva in amministrazione straordinaria, da parte della cordata Arcelor Mittal-Marcegaglia, avvantaggiata rispetto alla rivale AcciaItalia. La cordata data per favorita ha prevede un taglio di 5 o 6.000 posti di lavoro (sui 19 mila occupati in totale nei vari stabilimenti), con la ricaduta di altre migliaia nell’indotto. Sui nuovi sviluppi del caso Ilva, nella giornata di oggi è previsto un incontro delle segreterie nazionali di Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm con il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, dal quale si aspettano rassicurazioni sugli annunciati esuberi con tagli di migliaia di posti di lavoro. «Siamo molto preoccupati per l’annuncio di nuovi tagli che giudichiamo inaccettabili – dice Antonio Silvestri, segretario generale della Fiom veneziana – . Oltretutto, temiamo che nel caso in cui la cordata che sembra destinata ad acquisire l’Ilva commissariata possa creare ulteriori danni sopratutto a Marghera, visto che comprende anche il gruppo Marcegaglia che ha un terminal siderurgico, simile a quello veneziano, nel porto di Ravenna. Fato che potrebbe preludere ad un ridimensionamento del sito veneziano che già è stato ridotto ai minimi termini negli ultimi anni». Ci sono timori anche per i circa 50 lavoraori del sito di Ilva esistente a Legnaro, in provincia di Padova.

Fonti del ministero dello Sviluppo Economico hanno fatto sapere ieri che «nessun lavoratore occupato all’Ilva sarà in ogni caso, licenziato o lasciato privo di protezione» e che «in riferimento alle interpretazioni relative alle proposte di acquisto dell’azienda i livelli occupazionali sono legati a quelli produttivi che sono limitati per i prossimi anni ma non per sempre».

A Taranto, dove esiste l’acciaieria centrale di Ilva – che occupa quasi 10 mila lavoratori – la rappresentanza sindacale unitaria e le segreterie territoriali di Fiom-Cgil, Fim-Cisl, Uilm hanno indetto per oggi quattro ore di sciopero (le ultime finali del primo turno) con presidio davanti alla fabbrica. I sindacati dei lavoratori puntano a un confronto che ridimensioni e di molto gli esuberi annunciati e si dicono pronti ad un nuovo braccio di ferro con i commissari straordinari delegati dal governo a gestire l’Ilva dopo l’uscita di scena e l’incriminazione della famiglia Riva. A Porto Marghera, in effetti, l’Ilva ha una lunga storia, è stata un'industria protagonista del boom industriale, a partire dagli anni Venti del secolo scorso. Prima della Seconda Guerra Mondiale a Porto Marghera l’Ilva – che ora ha solo un sito logistico per lo scarico e carico di materiale siderurgico proveniente dallo Stabilimento di Taranto via mare – la produzione dell’acciaieria a tre forni elettrici raggiungeva le 1500 tonnellate al mese e impiegava 1.600 lavoratori, ridotte a 11.00 dopo la fine il conflitto mondiale, quando lo stabilimento fu gravemente colpito dai bombardamenti delle forze alleate anglo-americane che hanno preso ripetutamente di mira le infrastrutture e le grandi industria del polo industriale di Venezia. L'Ilva riprese le produzioni, risultando nel primo Dopoguerra l’industria di Porto Marghera con il maggior numero di addetti, arrivati quasi a 1.700 che poi, nel giro degli ultimi tre decenni e la chiusura dei reparti produttivi, si sono ridotti a poco più di un centinaio.

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