Alla ricerca delle “storie nascoste” sul fondo del Canal Grande

Mentre Venezia dorme, gli scienziati del Cnr Isamar “leggono” il fondale con uno speciale ecoscandaglio che ricostruisce la “memoria del sommerso”: antichi relitti, resti di costruzioni e cerchietti neri un po’ misteriosi

VENEZIA. Quando tutti i veneziani dormono il motoscafo «Litus» accende i motori e scivola lentamente sulle acque della laguna. Daniele Penzo, Mauro Penzo e Gianni Zennaro, i marinai che lo guidano dallo scorso giugno, percorrono i fondali centimetro dopo centimetro. A bordo trasportano infatti un gruppo di scienziati del CNR ISMAR di Venezia, impegnati nell’affascinante progetto nazionale «Ritmare». Il lavoro include anche la mappatura della laguna, l’osservazione della peculiare morfologia, la verifica della presenza di forme di vita nell’ambiente marino e la documentazione del ritrovo di eventuali reperti. Uno degli obiettivi è creare una mappa di Venezia che racconta le «memorie del sommerso».

rel

Qualche notte fa gli scienziati hanno scandagliato per la prima volta l’intero Canal Grande, da Punta della Dogana al Ponte della Costituzione. Lo hanno già fatto altri in passato, ma mai con questo modello di ecoscandaglio multifascio di ultima generazione, l’orgoglio del Cnr, in grado di coprire totalmente il fondale mostrandone i minimi dettagli. Lo si vede bene quando la ricostruzione del profilo dei relitti inizia a prendere forma digitale nello schermo, posizionato in una microscopica base di lavoro nel Litus.

Le antiche imbarcazioni sono ancora laggiù, appoggiate sui fondali di un museo subacqueo. Di fronte a questa meraviglia a stento si tiene a bada l’immaginazione e in quel silenzio assoluto si sente quasi l’eco del vociare delle migliaia di mercanti e marinai che trasportavano a remi spezie, tessuti e merci nel cuore della Serenissima. Alla spedizione partecipano il direttore Fabio Trincardi e tre ricercatori: la geofisica veneziana Fantina Madricardo e i geologi marini bolognesi Federica Foglini e Alessandro Remia, detto Dando.

I tre si alternano nei diversi compiti: scrivere minuto dopo minuto il diario di bordo segnando la posizione del Litus e la profondità del canale; osservare nell’apposito monitor la mappa e controllare periodicamente lo strumento. Per documentare l’eccezionale evento sono a bordo quella notte anche il fotoreporter Flavio Oliva, autore e regista del documentario in fase di produzione «The Scientist» e il direttore della fotografia Maurizio Di Loreti. I due si arrampicano perfino sulla tettoia del Litus pur di riprendere in diretta il duro lavoro degli scienziati. Per evitare il caos diurno, i ricercatori lavorano infatti in prevalenza di notte, lontano da casa e spesso in condizioni stressanti.

Non conoscono orari fissi. Trascorrono il loro tempo in barca, passando anche dieci ore sul Litus con un livello altissimo di concentrazione che si allenta soltanto quando assaggiano le delizie preparate dal marinaio Mauro. La passione è il loro unico serbatoio di energia. Quando si parte per il Canal Grande l’atmosfera è piena di eccitazione. Venezia sembra una città incantata, immobile e sospesa sull’acqua da un’eternità. La batimetria si conclude solo all’alba, dopo aver percorso quattro volte avanti e indietro l’arteria.

«L’ecoscandaglio multifascio – spiega la Madricardo, fisica specializzata in acustica – fa una specie di ecografia del fondale e di cosa c’è nell’acqua. Questo è possibile grazie alle onde acustiche che danno informazioni sul tipo di sedimento». I dati vengono campionati più volte durante la notte, immergendo un microfono nel fondale: «Acqua!» urla chi lo immerge; «Fondo!» avverte quando tocca il suolo e «Libero!» quando rientra in barca. Nessuno sente la stanchezza. Lo sguardo è ipnotizzato dalle immagini dei fondali sui monitori. Il paesaggio è surreale, quasi lunare, punteggiato da oggetti ancora sconosciuti: resti di costruzioni, cavi e numerosi cerchietti neri, forse copertoni persi dalle imbarcazioni. Per identificare quello che interessa agli scienziati sarà necessario l’intervento dei sommozzatori della polizia, con i quali si lavora a stretto contatto. I relitti, alcuni già noti da anni come quello del Trecento e i due del Cinquecento, e altri ancora da studiare, una volta tolti dall’acqua rischiano di sgretolarsi, ma fanno pur sempre parte del patrimonio culturale. Ciò nonostante sembra che nessuno ricordi mai la loro presenza. Gli scienziati si occupano soltanto di descrivere la morfologia della laguna.

Eppure sarebbe una vera ricchezza aggiungere alla futura mappa anche la descrizione dei gioielli incastonati nei fondali, dando la possibilità ai cittadini di camminare per una Venezia invisibile, utilizzando come guida la propria immaginazione.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia