Al Ballarin un secolo di sport: la storia dello stadio di Chioggia, nato su un campo di spine
Il 5 marzo 1950, quello che è una volta era soltanto il campo Sacca San Giovanni, viene intitolato ai fratelli Aldo e Dino Ballarin, periti tragicamente l’anno precedente con tutta la squadra del Grande Torino nella tragedia aerea di Superga.
Quel giorno alla presenza del sindaco di Chioggia, Antonio Felice Ravagnan e del vescovo, monsignor Giacinto Giovanni Ambrosi, tutta la città partecipò al taglio del nastro di fronte ad una unica tribuna, che poi è la stessa che oggi ospita la tribuna centrale e venne scoperta una lapide che, anche ai giorni nostri, saluta l’ingresso in campo dei giocatori dagli spogliatoi.
Una lapide sulla quale è inciso un pensiero commemorativo che incarna perfettamente il grande spirito battagliero chioggiotto: «Ai fratelli Aldo e Dino Ballarin sui campi italiani e stranieri, araldi di gloria sportiva, Chioggia, a imperituro esempio dei calciatori clodiensi, dedica, perché la loro memoria, si perpetui e viva nei cuori, anche di coloro che verranno». A tenere a battesimo il nuovo stadio venne chiamata la Triestina che, nell’occasione, batté il Clodia, la allora squadra di Chioggia, per 6-3.
Pionieri del pallone
Prima di approdare a Sacca San Giovanni, il calcio a Chioggia, nei suoi anni pionieristici, si praticava in quella che oggi è conosciuta come l’isola dei Saloni, allora chiamata Marittima, che si poteva raggiungere solamente attraversando il canal Lombardo in barca. Siamo nei primi anni del Novecento ed il football era praticato per lo più da studenti che avevano fondato una piccola squadra che si chiamava Igea Fbc.
Nel 1920 viene fondata l’Unione Sportiva Clodia, dapprima come società di ginnastica e poi allargata al calcio. Il campo della Marittima, per via del folto seguito che assisteva alle partite dei biancocelesti del Clodia, non bastava più. Per questo motivo la società, capitanata dal presidente, il nobile Francesco Comello, intavola con il Comune di Chioggia una trattativa per la gestione in affitto di una spianata che si trova, come si diceva allora, “fora de le porte”, chiamata per l’appunto Sacca San Giovanni, dove tuttora sorge l’attuale stadio di calcio.
Così il Clodia subentra, con delibera del 5 aprile 1920, nel contratto d’affitto, per la cifra di 516 lire annue, a Luigi Nicodemo Penzo.
Era un terreno alla buona, poco livellato e pieno zeppo di quelle che i chioggiotti chiamavano caratrepole o cagatrepole, l’equivalente italiano di calcatreppole, in pratica delle piccole piante spinose, che ad ogni scivolata si attaccavano ai pantaloncini ed ai calzettoni dei calciatori.
I derby tra Clodia e Sottomarina
Lo stadio Aldo e Dino Ballarin è stato il teatro delle gesta più o meno importanti del vecchio Clodia biancoceleste, che si destreggiava con alterne fortune nei campionati dilettantistici, ma nel 1959 nasce il Sottomarina Lido, maglia neroverde e tanta voglia di fare. Il Sottomarina scala rapidamente le categorie partendo dal gradino più basso e ritrovandosi in pochi anni a disputare il derby con gli acerrimi rivali del Clodia, dando vita a partite focose sul campo e sugli spalti, dove chioggiotti e marinanti reclamano la supremazia gli uni sugli altri.
Tutto ciò fino al 1971, quando le due società, con il Sottomarina che aveva appena terminato la sua cavalcata in Serie C e il Clodia che militava in D, decisero di fondersi dando vita all’Union Clodiasottomarina, scegliendo per le maglie, non a caso, il colore granata in onore dei proprio del Torino dei fratelli Ballarin.
Per poter affrontare la Serie C negli anni Settanta, l’impianto si dotò di tribune in tutti i quattro lati del campo, diventando quel fortino che tutti conoscono. Il Ballarin, prima del lento declino di fine secolo, incuteva davvero paura agli avversari con le sue gradinate sempre stracolme. Da queste parti sono passati giocatori che sono poi arrivati al banchetto del grande calcio come Onofri, Casagrande, Pin, Cerilli, Giorgio Boscolo, giusto per fare qualche nome.
L’era moderna
Il Ballarin è uno stadio che, pur piccolo, dà ai giocatori quella carica in più, quella soggezione negli avversari ai quali sembra di giocare con un uomo in meno. Ora l’impianto, dopo che per almeno una trentina d’anni è stato abbandonato o poco curato (nel ’93 vennero addirittura tagliati i fili della luce), è finalmente di nuovo rinato in una veste, se possibile, ancora più bella, adeguata al calcio professionistico.
Aldo e Dino Ballarin , fratelli uniti anche nel tragico destino
Lo stadio di Chioggia, come gli sportivi non solo chioggiotti ben sanno, è dedicato alla memoria dei fratelli Aldo e Dino Ballarin.
Due fratelli, uniti nella vita, come nella morte, abbracciati da un tragico destino che li volle a bordo dell'aereo che riportava il grande Torino in Italia dopo una partita amichevole giocata a Lisbona contro il Benfica, promessa da Valentino Mazzola al capitano dei portoghesi, suo grande amico, Francisco Ferreira.
Il Torino aveva appena conquistato un prezioso pareggio a San Siro contro l'Inter, che di fatto gli aveva cucito sulle maglie il quinto tricolore consecutivo. Aldo fece pressione sul presidente Novo affinché su quell'aereo vi salisse anche il fratello Dino, che in realtà era il terzo portiere della squadra, i segno di gratitudine per la professionalità dimostrata nel corso della stagione.
Alle 17.05 del 4 maggio del 1949, l'aereo che trasportava i giocatori, i tecnici, i dirigenti ed i giornalisti del Grande Torino si schiantò contro il terrapieno della basilica sul colle di Superga, alle porte di Torino.
Aldo Ballarin era nato a Chioggia il 10 gennaio del 1922 e, dopo i primi campionati tra le file delle locali Clodia, Rosolina e Adriese, approda prima in C con il Rovigo e poi in A con la Triestina e successivamente al Venezia. Lui terzino destro, duro ma dotato di grande tecnica, viene notato dai dirigenti del Torino che lo portano in granata. Vince quattro scudetti con il Toro ed è l'unico chioggiotto, fino adesso, ad aver indossato la maglia della Nazionale (9 presenze).
Il fratello Dino era nato il 23 settembre 1923, si destreggia piuttosto bene tra i pali difendendo la porta del Clodia fino alla Serie C, nel 1946. Su suggerimento del fratello Aldo, viene portato dal presidente Novo a Torino che ne vede una promessa per il futuro. Da terzo portiere vince due scudetti. Il posto sull'aereo della morte non spettava a lui, ma il destino aveva ormai fatto la sua tragica scelta.
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