«Aiutavo i feriti coperti di sangue e pensavo: dobbiamo restare uniti»

Gianmarco Bondi, 23 anni, studente ricercatore all'Unione Europea era sul luogo dell'attentato alla metro: «Sono scappato portando con me due persone colpite». Una ragazza araba era completamente ustionata. «Siamo tutti vittime del terrorismo e solo cooperando in Europa possiamo batterlo»
La metropolitana Stib subito dopo l'attacco in una foto scattata con il telefonino da un dipendente Stib
La metropolitana Stib subito dopo l'attacco in una foto scattata con il telefonino da un dipendente Stib

BRUXELLES. «Ho aiutato la ragazza più grave a chiamare i genitori, le tenevo il cellulare e ho visto sul display le scritte in arabo. Era gravemente ustionata, disperata. Piangeva e le lacrime le colavano dalla mascherina dell’ossigeno. In mezzo alla disperazione e al sangue ho capito che il nemico è il terrorismo, non gli “altri”. Siamo tutti, indistintamente, vittime del terrorismo, per questo dobbiamo unirci, non dividerci». Gianmarco Bondi, di Mestre, ha 23 anni, un brillante corso di studi in Giurisprudenza e una voce pacata, da persona molto più matura della sua età, pacata anche se i colleghi intanto continuano a portargli acqua e caffè, perché lui è stato in prima linea nei soccorsi dopo gli attentati a Bruxelles.
Il suo ufficio è a pochi metri dal punto in cui la bomba è scoppiata nella metro tra le fermate di Schuman e Maelbeek, in pratica di fronte a palazzo di Berlaymont, sede della Commissione europea. «Stavo camminando lungo rue Joseph II, diretto all’Olaf, l'Ufficio europeo antifrode, quando abbiamo visto la gente correre fuori da una delle uscite della metro», spiega, «all’inizio sembrava di trovarsi in mezzo a una candid camera, tanto che un signore ha detto “Che scherzo di pessimo gusto” e ha tirato dritto, io invece mi sono fermato per capire. Ed è stato in quel momento che sono usciti i primi feriti ricoperti di sangue».


Gianmarco ha mantenuto la calma, non è scappato all’impazzata, ma ha subito soccorso i feriti, molti dei quali, nella zona della Commissione Europea, provenivano da molti Paesi dell’Unione, e per lo choc parlavano disperati nelle rispettive lingue. Per fortuna Gianmarco è poliglotta ed è riuscito a comprendere, rispondere adeguatamente e tradurre i bisogni della gente. «La prima è stata una ragazza spagnola, ferita leggermente ma come in trance. Doveva chiamare assolutamente casa. L’ho fatta distendere e aiutata. Il secondo era molto più grave: un ragazzo inglese ferito alla testa, alle braccia e alle gambe. L’ho aiutato, ripulito e quando sono arrivati i primi soccorsi mi sono sbracciato per richiamare l’attenzione. I medici l’hanno guardato poi hanno posizionato su di lui un disco giallo e sono passati ad altri feriti».
Ma subito è arrivato un nuovo allarme. «La polizia ci ha detto che dovevamo abbandonare immediatamente quel posto, probabilmente per un allarme bomba e siamo tutti fuggiti: ho raccattato i miei feriti che sono scappati con me. È stato forse l’attimo in cui ho avuto più paura».

Intanto si cerca di riorganizzare i soccorsi. «L’Hotel Thon è diventato il centro in cui venivano portati i feriti e ho portato lì il ragazzo inglese che continuava a perdere sangue. Lo stavo tranquillizzando quando hanno portato questa ragazza completamente avvolta in bende e con la mascherina dell’ossigeno. Le sue condizioni erano davvero molto gravi a causa delle ustioni: lei cercava disperatamente di usare il telefono per avvertire i suoi che era viva, ma non ce la faceva e l’ho aiutata perché non poteva usare le mani. È stato allora che ho visto le scritte in arabo sul display e ho capito che noi tutti, di qualsiasi nazionalità, lingua o credo, siamo tutti vittime della follia terrorista, che i terroristi colpiscono tutti indistintamente e che dobbiamo batterlo unendoci tra esseri umani, non certo combattendoci tra noi o facendo barriere. Cooperando tra europei, non dividendoci».
Nei giorni precedenti l'attentato, subito dopo l’arresto di Salah, la mente degli attentati di Parigi, a Bruxelles, Gianmarco e i suoi colleghi avevano discusso della minaccia di attacchi. «Lo avevamo fatto come tutti qui in Belgio, si sapeva che l’allerta era altissimo, ma è anche vero che quando le autorità belghe hanno annunciato che Salah voleva collaborare, ovviamente gli altri suoi complici ancora liberi avranno deciso di anticipare gli attentati nel timore di venire catturati».
Poi l'analisi, di chi il sangue l'ha visto: «L’unica strada per battere il terrorismo è l’intelligence, tutto il resto è “cosmetico”. E quando si parla d’intelligence s’intende anche qui una maggiore integrazione e cooperazione tra i servizi di sicurezza. Il livello europeo è il migliore per battere il terrorismo: comincia dalla gente e continua con le istituzioni».
 

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