«Aids, non bisogna sottovalutare i rischi»

Appello di Enzo Raise, primario dell’Asl 12: c’è un incremento di giovani malati tra i 18 e i 25 anni

MESTRE. Sono quaranta i casi di persone affette dall’Aids nella provincia di Venezia, la maggior parte delle quali vivono nel nostro comune, hanno circa 40 anni e sono per l’80% italiani e un 20% stranieri. Un dato stabile negli ultimi anni. Per questo il professor Enzo Raise, direttore Dipartimento Malattie infettive e tropicali dell’Asl 12 in occasione della Giornata mondiale dell’Aids, lancia un forte appello alla società civile.

«È necessario fare prevenzione, a cominciare dalle scuole. È necessario che chi ha corso rischi sessuali si sottoponga ai test anonimi, non bisogna sottovalutare le potenzialità che ha il virus di diffondersi nella popolazione, pensarci prima e vivere in maniera matura il rapporto sessuale, almeno all'inizio».

A livello regionale negli ultimi tre anni non si sono registrate variazioni: 280 i casi in Veneto. «Uno zoccolo duro che non viene scalfito dalle azioni di profilassi che cerchiamo di reclamizzare» spiega Raise «il problema è che ci sono ancora molte persone già positive al virus Hiv, che non sa di esserlo e sono questi soggetti a trasmetterlo. Parlando in termini di numeri, un caso su quattro». Globalmente la trasmissione per via sessuale ha raggiunto il 70% di tutte le infezioni, la tossicodipendenza è ridotta. C’è una quota del 10% che non ricorda fattori di rischio, che potrebbero essere correlati a piercing o ad una tossicodipendenza saltuaria».

E ancora: «Nelle donne il fattore di rischio di trasmissione per via sessuale è due volte maggiore rispetto agli uomini». Tra gli stranieri le etnie più interessate sono: Nigeria, Ghana, Camerun e Guinea Bissau. «Da rimarcare che le persone si presentano in media a fare il test dopo 5-6 anni da quando hanno incubato la malattia e non hanno coscienza di averla contratta. Arrivano con sintomi elevati (notevole dimagrimento, stanchezza e febbre)».

«Il punto» aggiunge Raise «è che c’è un incremento di giovani tra i 18 e 25 anni, proprio perché è insorta la certezza che di Hiv non si muore più e si è quindi ridotta la propensione a proteggersi con l’uso preservativo. Ecco perché bisogna far per capire ai ragazzi che vengono al Pronto soccorso dopo lo sballo, che se da un lato abbiamo cronicizzato la malattia, non si guarisce ma si vive, dall’altro non è come prendere la pastiglia per l’ipertensione per tutta la vita». Da qui l’appello: «Bisogna rimanere sensibili e soprattutto proteggere se stessi per evitare che si perpetui l’infezione». (m.a.)

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