Aglio cinese, guerra commerciale In quattro anni evasi due milioni

Indagati 37 imprenditori dal pm Bressan con l’accusa di non aver pagato dazi e altre imposte Anche la Duoccio srl con sede a Mestre deve rispondere di frode fiscale e contrabbando

Sembra davvero impossibile, ma secondo il pubblico ministero di Venezia Federico Bressan, che ha contestato il grave reato di associazione a delinquere, oltre al contrabbando, alla falsa fatturazione e all’evasione fiscale, le società implicate avrebbero evitato di pagare dazi e imposte sul valore aggiunto per circa due milioni di euro in quattro anni (dal 2007 al 2010) importando soltanto aglio dalla Cina.

Gli indagati sono 37 e tra loro ci sono noti imprenditori del settore agroalimentare, in particolare Giorgio e Lucio Duoccio, dell’omonima srl con sedi a Mestre e a Rovigo, e la padovana Bianca De Nadai, a capo di una vera e proprio multinazionale della frutta fondata dal nonno nell’epoca delle colonie italiane d’Africa.

Ad accendere l’attenzione sull’indagine della Procura veneziana una sentenza della Corte di giustizia europea di Bruxelles del 13 marzo scorso, chiamata a decidere dalla Commissione tributaria regionale di Venezia, che si è trovata a pronunciarsi nella controversia tra l’Agenzia delle Dogane lagunare e le società importatrici di aglio cinese, tra cui la Duoccio srl e quella padovana della famiglia De Nadai.

I giudici europei, intervenendo sulla frode “carosello” sulle importazioni di aglio cinese in Italia, vogliono capire «se l’operazione è stata concepita artificiosamente allo scopo essenziale di beneficiare dell’esenzione dal dazio», pari a 1.200 euro la tonnellata. La Corte afferma che dovrà essere il giudice italiano «a verificare l'esistenza o meno di una pratica abusiva, prendendo in considerazione tutti i fatti e le circostanze del caso, comprese le operazione commerciali precedenti e successive all'importazione in questione».

La normativa europea ha infatti previsto l'apertura del mercato a nuovi importatori (che in quanto tali possono beneficiare di un’ esenzione dal pagamento del dazio), in modo da salvaguardare la concorrenza e impedire che uno solo o pochi importatori possano controllare il mercato. La vicenda vede vecchi operatori acquistare l’aglio cinese, rivenderlo subito ai nuovi importatori che si occupano di far giungere il prodotto in Italia con l’esenzione dal dazio. Questi ultimi poi lo rivendono ai vecchi operatori, che così possono acquisirlo a un prezzo inferiore.

Dal punto di vista formale, hanno spiegato alla Corte Ue, c’è un rispetto totale nelle singole operazioni delle norme europee, tuttavia va verificato che le operazioni non siano state ideate artificiosamente allo scopo essenziale di beneficiare del dazio agevolato. E per il pubblico ministero Bressan non ci sono dubbi: sulla base degli accertamenti dell’Agenzia delle Dogane e della Guardia di finanza di Venezia (dal porto lagunare passano buona parte dei container di aglio provenienti dalla Cina e diretti nei maggiori mercati ortofrutticoli all’ingrosso italiani) il sistema sarebbe fraudolento e ideato dagli indagati per evitare di pagare le tasse d’importazione, usufruendo del dazio agevolato. Sarebbe stato messo in piedi un vero e proprio mercato dei titoli d’importazione tra vecchie e nuove ditte importatrici.

Sia la mestrina Duoccio srl sia la padovana De Nadai sono ditte di grande importanza. Per anni l’azienda padovana, i cui fondatori sono originari di Cavaso del Tomba, ha monopolizzato importazioni ed esportazioni di frutta per l’Italia e i paesi Arabi. In Somalia aveva addirittura ingaggiato attraverso la “Somalfruit”, una vera e propria guerra con l’americana “Dole” per il controllo della produzione e del commercio delle banane del paese africano.

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