Agli arresti la cricca dei fallimenti: spolpano le società e fuggono

Nella rete due commercialisti, un’avvocatessa, due imprenditori e un consulente: contestati 8 milioni ai bancarottieri seriali

PRAMAGGIORE. Entrano nella società, la spolpano di beni e risorse finanziarie, la fanno fallire. Una, due, sette volte, fino a intascarsi quasi otto milioni di euro. È una rete di bancarottieri seriali quella sgominata dalla guardia di finanza di Treviso: ci sono sei arresti - due in carcere, quattro ai domiciliari - e altri dodici indagati. Tutti, o quasi, con nomi e ruoli notissimi: un avvocatessa, due commercialisti, due imprenditori, un ex direttore di banca. Tra le aziende truffate la Vetreria Veneta, sede operativa a Pramaggiore, sede legale a Conegliano.

I nomi. Il sodalizio era composto da due commercialisti, Nicolò Corso e Mario Pietrangelo, un’avvocatessa, Benedetta Russo Collerone, e due imprenditori di Conegliano, Teresa Calamia e Vincenzo Zanato, nonché da un consulente aziendale di Ponte di Piave, Mario Buso. Due di loro, Corso e Zanato, sono in carcere, gli altri quattro ai domiciliari. Indagate, come detto, altre dodici persone: c’è anche un ex direttore di banca, Renzo Romor, in passato alla guida della filiale di Cordignano della Banca della Marca, già licenziato perché ritenuto responsabile di aver aperto conti correnti a favore dei suoi presunti “complici” senza aver rispettato le normative in materia di antiriciclaggio.

Le aziende. Una struttura organizzata, precisa, competente. Professionisti nei loro rispettivi settori e ormai altrettanto professionisti, secondo l’accusa, anche in questo vampirismo aziendale. La mente del gruppo, secondo gli investigatori, erano il commercialista Nicolò Corso e l’imprenditore/prestanome Vincenzo Zanato. Erano loro due a tenere le pubbliche relazioni, a cercare le aziende: si proponevano di aiutarle a uscire dalle secche della crisi, in realtà davano il colpo di grazia e le spolpavano a loro tornaconto personale. Sette, come detto, le “vittime”: Inoxfim e Alufilm di Salgareda, Vetreria Veneta e Lafood Group di Conegliano, Power Srl e Giromel Autotrasporti di Pieve di Soligo, Of Interni Srl di Maserada. Complessivamente sarebbero stati drenati oltre 7,7 milioni di euro.

Le indagini. Sono serviti mesi di indagini: prima per capire che dietro una serie di fallimenti c’era qualcosa che puzzava, poi per rendersi conto che le modalità operative e i nomi che giravano attorno alle aziende erano sempre gli stessi. Ad accendere le prime spie rosse è stato il tratto comune di imprese che non pagavano le imposte e poi trasferivano le proprie sedi dalla Marca all’estero, in particolare in Brasile e in Venezuela, con un passaggio intermedio a Roma per cercare di dare meno nell’occhio. Il puzzle è andato a posto, tessera dopo tessera, nome dopo nome. «Abbiamo dovuto cambiare modo di operare, preferendo un approccio di tipo “macro”», spiegano i vertici delle fiamme gialle trevigiane, il comandante provinciale Alessandro Serena e il tenente colonnello Massimo Dell’Anna.

Il metodo. Individuazione di aziende in difficoltà. Inserimento al loro interno di soggetti prestanome. Numerose variazioni dell’assetto societario. Svuotamento dell’attivo. Abbandono dell’azienda al fallimento. Questo, secondo finanzieri e Procura, lo schema adottato e replicato per tutte le sette aziende spolpate. Ogni professionista aveva il suo compito: i commercialisti e l’avvocatessa cercavano di far camminare tutto sul filo della legalità, il direttore di banca apriva conti correnti sui quali transitavano le somme drenate dalle aziende chiudendo entrambi gli occhi - sempre secondo l’accusa - sulle normative antiriciclaggio, i consulenti figuravano come prestatori d’opera pagati a peso d’oro dalle aziende decotte, con false fatturazioni. Anche macchinari e magazzini venivano venduti prima di abbandonare l’azienda al fallimento.

Le contestazioni. Le accuse sono bancarotta fraudolenta, riciclaggio e appropriazione indebita in concorso. Non viene contestata l’associazione per delinquere perché il gruppo lavorava in «assetto variabile»: non sempre entravano in scena tutti gli arrestati e gli indagati. Lunedì gli interrogatori di garanzia ai sei arrestati.

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