Adele Zara, minuscola donna sempre dalla parte dei Giusti
ORIAGO. Adele Zara era forse l'unica donna di Oriago che fumava il sigaro, un toscanello che riusciva a procurarsi anche in tempi di tessere annonarie. Nel 1943, Adele Zara aveva sessantun anni, era vedova da tre anni, aveva sette figli, nuore e nipoti che abitavano quasi tutti con lei, in totale diciassette, a Palazzo Zara, che in realtà era una grande vecchia casa screpolata e senza riscaldamento e con un unico bagno sulla riva del naviglio Brenta. Adele Zara è stata proclamata “Giusta tra le Nazioni” il 25 febbraio 1996 dalla commissione dello Yad Vashem a Gerusalemme.
Era già morta nel 1969, ma il diploma è stato consegnato a “tutta” la famiglia Zara e il suo nome, quello di Adele, è stato inciso sulla parete di pietra che conserva memoria perenne dei Giusti che salvarono ebrei perseguitati.
Ma quella donna , «minuscola ma grande capostipite di casa Zara» vive in una memoria più vicina a noi, tra Mira e Trieste, nei ricordi della famiglia di Fulvia Levi ed ora anche in un libro che con la sua asciuttezza storica è pur in grado di commuovere. Un libro di storia, ma di storie umane, umanissime, che lo fa vivere oltre l'epoca raccontata.
L’ha pubblicato nelle settimane scorse la padovana Cleup, e vi hanno messo mano due ex sindaci di Mira (Oriago è una frazione di Mira, in provincia di Venezia), Pompeo Volpe e Michele Carpinetti, oltre a Fulvia Levi, Matteo Me'ir Pasqualetto, Silvio Zenatto e Lucia De Lorenzo Poz. In queste pagine lontane da ogni possibile retorica, la “salvazione” di una famiglia ebrea di Trieste, i Levi appunto: il padre Carlo, la madre Elisa Loly e la figlia Fulvia, allora tredicenne.
I Levi scappano da Trieste dopo l'8 settembre 1943, quando è chiaro che con la Repubblica Sociale e l'occupazione militare tedesca ricomincerà la caccia all'ebreo. Come puntualmente avviene, con le dichiarazioni di Mussolini e soprattutto con l'ordinanza n.5 del 30 novembre 1943, diramata dal ministro dell'Interno della Rsi, Guido Buffarini Guidi e controfirmata dal capo della Polizia, Tullio Tamburini: carabinieri e polizia hanno l'ordine di arrestare e internare in appositi campi tutti gli ebrei e di confiscare i loro beni.
Le autorità repubblichine di Venezia e Mira già il 10 dicembre forniscono le liste di nomi. Una parte della famiglia Levi riesce a riparare in Svizzera, ma Carlo, Elisa e Fulvia lasciano Trieste per le campagne di Aquileia, prima, poi si rifugiano a Venezia che però non è sicura.
C'è un conoscente, ad Oriago, e arrivano lì. Qualche giorno in una locanda, poi vengono indirizzati ad Adele Zara. Quando Carlo torna dal colloquio con quella donna piccola, decisa, quasi burbera, ha gli occhi lucidi: «Abbiamo trovato un tetto».
Ma si sbaglia: hanno trovato una famiglia, protezione, disinteresse e affetto. I tre Levi resteranno a casa Zara fino alla fine della guerra, salvo brevi periodi nei quali la prudenza suggerì di spostarsi altrove, per timore di qualche possibile segnalazione. Sono mesi e mesi di batticuore ma di relativa sicurezza. «Adele, non so come, mi procurava della carne, quando caddi malata era lei a farmi le iniezioni». Tutto ruota attorno a quell'essere piccolo, deciso e febbrile.
Praticamente incollata alla sua bicicletta, va dove c'è bisogno di assistenza e il paese l'ama. E' probabilmente questa la “chiave” della salvezza dei Levi: nessuno li denuncia perché nessuno avrebbe denunciato Adele. Il libro non è solo la riconoscenza di Fulvia Levi, che dopo la guerra s'è data da fare perché ad Adele venisse riconosciuto il titolo di “Giusto delle Nazioni: il procedimento viene aperto l'11 febbraio 1995 e concluso un anno dopo.
Il libro è l'occasione per capire come l'emarginazione prima e la persecuzione poi degli ebrei venne vissuta nelle nostre terre. Pompeo Volpe, professore associato di Patologia generale all'Università di Padova, sindaco di Mira dal 2007 al 2012, si rivela storico accurato (ha già altri testi al suo attivo) e di respiro profondo con due interventi sulla persecuzione e la salvazione degli ebrei tra il 1938 il 1945 a Venezia e nell'entroterra veneziano e la memoria collettiva e la responsabilità degli italiani.
Ci sono i dati sulla presenza ebraica in Italia e nel Veneto, sulle deportazioni e l'operato di fascisti e nazisti, ma anche delle popolazioni locali. Uno spaccato di un momento storico e di una società sballottata tra le contraddizioni, in cui ignavia, eroismi, fanatismo si intrecciano a volte con aspetti paradossali. Si affronta l'ostico tema della delazione, quello altrettanto scomodo della “rimozione” : l'Italia del dopoguerra rimuove le proprie responsabilità per l'Olocausto e si autoassolve. Volpe, citando fior di autori e fatti precisi, dimostra che non fu così, che la correità con i nazisti fu patente, anche se conviveva a livello sociale, soprattutto dopo l'8 settembre, una rete di solidarietà molto estesa.
Ma era cambiato tutto, anche se nella Repubblica Sociale tutto sembrava come prima. Pagine vibranti, capaci ancora di commuovere, come si diceva, perfino nei discorsi ufficiali pronunciati a Trieste quel 15 dicembre 1996, quando venne conferita la medaglia di “Giusta tra le Nazioni” ad Adele Zara e un certificato ad Eraldo Zara.
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