Addio alle perle di Mazzucco: «Per Venezia è una disfatta»
VENEZIA. Tonnellate di storia veneziana in liquidazione e cinque lavoratrici a casa. La ditta di produzione di perle a lume dei successori di Romano Mazzucco ha chiuso i battenti. Acquistata nel 1985 dalla famiglia di Paolo Darin, l’attività, con una lunga storia già alle spalle, ha vissuto tempi gloriosi che oggi sembrano un lontano passato.
«È una disfatta» dice Darin in un ufficio circondato da scatoloni con tonnellate di perle di ogni tipo che attendono di essere vendute (o meglio svendute) per pagare i debiti accumulati. In pochi mesi Darin, 70 anni, è passato infatti da essere proprietario a liquidatore della sua stessa attività. «Non abbiamo mai licenziato nessuno ed è stato doloroso parlare alle dipendenti che conosco da decenni e solo una andrà in pensione», spiega, «la crisi era nell’aria da qualche anno ed è esplosa con il Covid-19. Senza americani, cinesi e giapponesi non si vende nulla».
La porta al civico 996 di Cannaregio non è più aperta ai visitatori. Là dove un tempo erano esposti spille, orecchini e tanti altri monili, ora ci sono solo contenitori per sbaraccare. Le luci che illuminavano i gioielli esposti, sono spente. La sala delle perlaie, con decine e decine di pinze appese alla parete per plasmare il vetro bollente, è vuota. Il macchinario per sciogliere i fili di rame e lasciare il buco nella perla, è spento. Ovunque ci sono canne di vetro di ogni colore, acquistate da un deposito più di trent'anni fa di vetro di Murano.
«Il primo colpo lo abbiamo sentito con l’apertura dei mercati e con la globalizzazione perché da quel momento il vetro ha iniziato a essere prodotto anche all’estero», spiega Darin, «poi siamo stati penalizzati anche dal fatto che il marchio Promovetro viene dato solo a Murano, e questo ha portato a una sorta di guerra dei campielli». Ancora una volta un’attività di artigiani sparirà nel nulla, senza che nessuno abbia provato a salvarla. Anche per questo negli oltre 250 metri di spazio si respira un’immensa tristezza. Qui, fino a poco tempo fa, le donne lavoravano a lume portando avanti una tradizione, quella delle impiraressa e in seguito delle perlaie, che non esiste in nessun’altra città italiana e in pochissime al mondo. Eppure non ci sono contributi per sostenere le attività storiche.
«Non appena siamo arrivati abbiamo acquistato un impianto per il riciclo del rame», racconta Darin che ha portato avanti la ditta insieme a Fiorella Silotto, Liliana Vianello e Maurizio Coltro e alle cinque dipendenti, «le perle vengono infatti infilate in un filo di rame che dopo deve essere sciolto. Quello che rimane lo diamo a una ditta che si occupa di rame, quindi non lo buttiamo in laguna come si faceva in passato, neanche poi così lontano. Abbiamo investito moltissimo. Lavoravamo con musei e televisioni americane, avevamo un cliente in Russia esclusivista e facevamo le fiere all’estero».
La ditta prima era nell’attuale locale Laguna Libre, il doppio dello spazio attuale. Poi l’affitto era caro e si sono trasferiti pochi civici più avanti. «Gli artigiani non sono aiutati e noi facciamo parte della storia di Venezia, come racconta il libro Perle Veneziane». Qui la perla rosetta è di casa, ma c’è ne sono tantissime altre, come il ritratto di Garibaldi in una minuscola murina di pochi millimetri, uno dei tanti esempi di un’arte speciale che, se non viene aiutata, è destinata a sparire. —
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