Addio al pittore Franco Renzulli: riempiva i suoi quadri di luce

Aveva 74 anni, abitava al Lido e aveva lo studio alle Zattere. Il suo assistente: «Era introverso e ironico»

VENEZIA. Rincorreva la luce, quella riflessa nei canali di Venezia o quella della natura africana, e poi la raccontava nei suoi dipinti astratti, carichi di luminosità. È mancato il 17 novembre il pittore Franco Renzulli, 74 anni, tra gli ultimi artisti dei Tre Oci della Giudecca dove conobbe l’amico pittore Friedensreich Hundertwasser. Renzulli, autodidatta, ha esposto a New York e in Danimarca e negli ultimi anni anche a Venezia dove aveva lo studio alle Zattere.

Malato da tempo, se n’è andato dopo una lunga malattia che lo aveva costretto da qualche mese all’ospedale e sarà salutato con una cerimonia laica venerdì 20 novembre alle 10 nell’isola di San Michele. Figlio di papà napoletano e di mamma triestina, era giunto da piccolo a Venezia dove aveva studiato al Foscarini per poi dedicarsi notte e giorno all’arte.

«Fin da ragazzo si lanciava con il paracadute e poi amava dipingere quello che aveva visto da lassù: la pace, il silenzio e una visione d’insieme», racconta Daniella Perez Bacigalupo, sua assistente e curatrice, «nei suoi dipinti torna sempre il giallo e il ricordo della luce che portava dentro e che raffigurava nelle sue tele».

Sposato con Veronika Polacek, compagna da una vita, Renzulli, chiamato il Maestro, viveva al Lido, ma ogni giorno si recava nel suo studio per poi andare al Ristorante Colombo di Alessandro Stanziani, tra i suoi più grandi collezionisti.

Dopo pranzo tornava nello studio. Nella sua vita ha viaggiato tantissimo: da ragazzo va in Danimarca dove conosce dei danzatori senegalesi che lo invitano in Africa dove tornerà ogni anno per quasi 20 anni. Nel 1988 l’avventura a New York dove esporrà in diverse gallerie, come testimonia una delle ultime mostre alla galleria Made Art Gallery alle Zattere, curata proprio da Bacigalupi e intitolata Venice New York, con i lavori fatti nella Grande Mela. «Aveva un’ironia acuta, era introverso ma con un cuore grande», prosegue la curatrice, «aveva esposto anche a Ca’ Zenobio, nella sede degli Armeni, in uno mostra sulla costruzione della memoria e scriveva molti libri. Il giallo era il suo colore, il colore della luce». —



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