Acqua alta, la soluzione “salva Castello”
«Il livello del mare aumenta. E il Mose , anche se sarà ultimato, potrebbe non bastare». Mario Dalla Costa, architetto veneziano, docente di restauro architettonico all’Iuav e al Politecnico di Torino, rilancia il suo progetto. Si chiama Siva. Messo a punto vent’anni fa da un gruppo di ingegneri e architetti veneziani. Proposto al Consorzio Venezia Nuova ma puntualmente cestinato. «Come succedeva», ricorda l’anziano architetto, «con quasi tutti i progetti che avrebbero potuto mettere in dubbio l’affidabilità del Mose. E la politica allora faceva la parte della comparsa cieca». Cos’è il “Siva?”. «Avevamo messo a punto un progetto di isolamento della città dalle maree medio alte (fino a quota 140 centimetri) con la chiusura dei collegamenti per macroinsulae». A Venezia le macroinsulae sono 18. E la proposta degli ingegneri veneziani prevedeva di cominciare come sperimentazione da quella di San Giuseppe di Castello. «Area ideale, perché lì abbiamo tutte le possibili quote altimetriche», spiega l’architetto, «dagli 80 centimetri ai 140 dei Giardini, costruzione recente». Progetto firmato dagli ingegneri Walter Gobbetto, Ioseph Lecis, Nino Marzetti, Giorgio Romaro, Giorgio Rossi, Fausto Frezza, . Oltre a Dalla Costa e agli architetti Gianluca Bevilacqua e Giovanni Dalla Costa. «Siamo partiti da uno studio approfondito della storia di questa città sul fronte delle maree e del livello del mare», spiega Dalla Costa, «nei secoli i veneziani si sono sempre adattati a questo fenomeno con tecniche tra le più varie».
Dunque, la protezione dei litorali, la diversione dei fiumi. E più in particolare il rialzo delle pavimentazione. Anche un metro negli ultimi secoli. Con la conseguenza però di far sparire in molti edifici storici i basamenti. È il caso della chiesa rinascimentale dei Miracoli, di San Giovanni Grisostomo, della cappella laterale della Basilica gotica di San Giovanni e Paolo, ma anche dei gradini di accesso alla Scuola Grande di San Marco (Ospedale civile), della chiesa di San Fantin e molti altri. Un’opera di rialzo era stata avviata anche negli anni Novanta, recuperando 20-30 centimetri da alcuni luoghi della città, come la Fondamenta della Misericordia. Ma non si può alzare la pavimentazione all’infinito, dice l’architetto.
Il progetto Siva invece con tecniche «poco invasive» potrebbe consentire la messa all’asciutto delle insulae. Con possibile iniezione di acqua nel sottosuolo per rialzare il livello, come prevedeva l’ipotesi del Cnr e dell’ingegner Giuseppe Gambolati.
«La proposta era stata presentata nel 1997 all’Ateneo Veneto, poi inviata al Comune. E aveva avuto sostegno dell’amministrazione e dell’allora dirigente del Comune Armando Danella», continua Dalla Costa, «ma in quegli anni il Consorzio bloccava tutte le opere alternative al Mose».
«Adesso», dice, «sembra evidente che il Mose avrà dei problemi. La Valutazione di Impatto ambientale del 1998 fatta dal ministero per l’Ambiente ne aveva già messo in luce le tante criticità. Ma i tecnici, tra cui la veneziana Andreina Zitelli, non erano stati ascoltati.
E comunque non potrà essere utilizzato una volta al giorno per le maree medio alte, che saranno in aumento nel prossimo secolo». Un dato che secondo l’architetto «è stato colpevolmente sottovalutato». Progetto Siva, dunque. «Perché non ritentare una sperimentazione?»
Così l’architetto Dalla Costa ha raccolto disegni e proposte. E inviato di nuovo, dopo 20 anni, la sua proposta al Consorzio e al Provveditorato alle Opere pubbliche.. «Spero che stavolta lo leggano», dice.
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