A un anno dal colpo al Ducale verità sempre più vicina

Il maxi furto di gioielli: in carcere per ora quattro persone, due libere.  Secondo la polizia il bottino è già stato riciclato dalle organizzazioni criminali

VENEZIA. I due serbi che hanno partecipato al furto di Palazzo Ducale resteranno nel loro Paese. Nessuna risposta delle autorità di Belgrado. Del resto non c’è alcun accordo di estradizione, su questo tipo di reati, tra l’Italia e quel paese. E se non escono dal territorio nazionale i due ladri possono dormire sonni tranquilli.

Fra un mese, invece, dovrebbe arrivare il quarto croato che per mancanza di documentazione non è stato estradato con gli altri tre suoi connazionali prima di Natale. Ad un anno dal furto spettacolare di Palazzo Ducale, dove sono stati rubati una spilla e due orecchini per un valore di 8,6 milioni di euro, i gioielli non sono stati ritrovati. Da quanto ha ricostruito la Squadra Mobile di Venezia e il Servizio Centrale Operativo della Polizia, il bottino sarebbe stato riciclato dai serbi. Ora si attende la fine delle indagini e la richiesta, da parte del pubblico ministero, di rinvio a giudizio.

Il 20 dicembre erano arrivati tre dei quattro croati che avevano partecipato al colpo al Ducale del 3 gennaio dello scorso anno. Tra questi Vinko Tomić, componente della banda dei Pink Panther, oltre che mente del colpo nell’ultimo giorno di apertura della mostra “I Tesori dei Moghul e dei Maharaja”.

Atterrati a Tessera anche Želimir Grbavec e Zvonko Grgić. Consegna solo rinviata per Vladimir Đurkin, il quarto croato arrestato assieme agli altri connazionali lo scorso 8 novembre, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip David Calabria.

I quattro arrestati erano già comparsi davanti ad un giudice, quello croato, nell’immediatezza dell’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare. In prima battuta avevano rifiutato di dare l’assenso per essere consegnati all’Italia. Solo nell’udienza celebrata una decina di giorni prima del loro rientro è arrivato l’ok. Nel primo interrogatorio, Tomić aveva peraltro negato ogni addebito, proponendo di pagare una cauzione per essere liberato. Richiesta respinta.

Ora l’attenzione è tutta rivolta da un lato alla prosecuzione delle indagini, dall’altro al tentativo di far arrivare nel nostro Paese anche i due serbi che per il pm Raffaele Incardona e per gli uomini della Squadra Mobile veneziana e dello Sco rappresentano il quinto e il sesto uomo della banda: si tratta di Goran Perovic, ancora latitante, e di Dragan Mladenovic, preso al confine tra Croazia e Serbia e poi riuscito a fuggire nel suo Paese. Ma quella degli inquirenti, che non mollano, rimane solo una speranza. Magari i due ganno lo sbaglio di uscire dalla Serbia e se controllati in altro paese può emergere l’esistenza del mandato di cattura internazionale emesso da Venezia. —


 

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia