A Mogliano la base logistica dei narcos
MOGLIANO. Bed & Breakfast dove venivano alloggiati narcotrafficanti sudamericani, bar e ristoranti dove avvenivano gli incontri per definire gli affari tra Veneto e Sudamerica, l’aeroporto Canova di Treviso come “scalo” degli esponenti del gruppo criminale.
L’indagine della Guardia di Finanza di Venezia che ha permesso di stroncare un’organizzazione che, negli ultimi anni, ha gestito un grosso traffico di cocaina tra Sudamerica e Veneto, ha coinvolto anche la Marca. Alcune basi logistiche dell’organizzazione erano dislocate tra Mogliano, San Biagio, Casale e Roncade. In questo “quadrilatero” alle porte di Treviso i narcotrafficanti calabresi e sudamericani organizzavano summit e incontri per pianificare i viaggi delle navi cariche di cocaina nascosta tra caschi di banane e finti tuberi di manioca provenienti dal Sudamerica. Carichi che andavano da un minimo di 50 chili fino a due quintali e mezzo di cocaina. Fiumi di polvere bianca e di soldi che arricchivano i componenti dell’organizzazione, anelli di una catena al cui vertice, secondo le indagini, c’era Attilio Vittorio Violi, alias “Furia”, considerato un esponente della ’ndrina Morabito di Africo, trapiantato a Marcon (difeso dall’avvocato Fabio Crea), che anche dal carcere di Tolmezzo, dove è rinchiuso dal 2015, avrebbe incessantemente lavorato per mandare avanti il traffico, usando anche “pizzini” che consegnava ai familiari durante i colloqui nel penitenziario friulano.
Un punto di riferimento dell’organizzazione criminale era un Bed & Breakfast di Mogliano dove Violi, che era amico dei proprietari, faceva spesso alloggiare membri dell’organizzazione. Lì vi aveva vissuto per cinque mesi un narcotrafficante boliviano in affari con l’esponente calabrese. E ancora lì altri sudamericani e calabresi che gravitavano attorno all’organizzazione venivano fatti alloggiare dopo che arrivavano all’aeroporto di Treviso. Come ad esempio un calabrese che secondo gli investigatori, era il chimico di fiducia di Violi, colui che, una volta approdata in Italia, si occupava della lavorazione della cocaina che veniva tagliata con altre sostanze.
Se per i membri dell’organizzazione il Bed & Breakfast moglianese era diventato una base logistica, per gli investigatori delle Fiamme Gialle era invece una preziosa fonte di informazioni. Perché lì, agenti sotto copertura, che si fingevano turisti, effettuavano delle intercettazioni ambientali durante i summit che avvenivano nei miniappartamenti del locale e lì, all’esterno, avevano piazzato telecamere dove veniva costantemente filmato e registrato il via vai delle auto e di chi vi viaggiava all’interno. Quando le riunioni terminavano, i membri dell’organizzazione si spostavano a pranzare o cenare in un paio di ristoranti a poche centinaia di metri di distanza. Uno di questi, un ristorante etnico, viene indicato come un punto di riferimento: Violi mi ha spiegato che il soggetto con cui stava parlando è un boliviano, tale Leandro, che lui ha sistemato in un posto nella sua disponibilità e mangia sempre in quel locale a spese loro in quanto sta lavorando per loro.
Qualche volta gli incontri venivano organizzati anche a Casale sul Sile dove in un appartamento avvenivano gli incontri con un agente sotto copertura e gli altri affiliati dell’organizzazione, o in ristoranti esclusivi di Roncade e San Biagio. In questi luoghi qualche volta avveniva anche il passaggio di grosse somme di denaro in contante per finanziare i carichi di droga tra le coste dei paesi centro-sudamericani da dove partivano le casse di frutta “cariche” di droga ed i porti di Livorno prima e Venezia poi. La soggezione dei grossisti che si rifornivano di cocaina dall’organizzazione calabro-sudamericana è sintetizzata in un dialogo intercettato in carcere a Venezia in cui il padre arrestato con 250 grammi di coca confida al figlio: Credo che vogliono sapere chi me l’ha data ma io non glielo dico. Quelli ti sparano. quelli ti ammazzano se vengono a sapere che fai nomi. Un sudamericano riferendosi a Violi confessa: Ho paura di Vittorio perché mi ha detto di appartenere alla ’ndrangheta.
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