A Mestre due marmisti distruggevano le lapidi per poterle sistemare
MESTRE. Quando si recavano a far visita ai propri cari sepolti nel camposanto di Mestre, spesso trovavano qualche danno sulla tomba. Piccole rotture, come ad esempio lampade votive spezzate o candele fotovoltaiche che non funzionavano più, o ancora guarnizioni rimosse, che però si erano ripetute nel tempo. I danni, risalenti al maggio dello scorso anno, facevano male ai parenti dei defunti, i quali si prodigavano immediatamente per ripristinare la tomba nella sua interezza. Alcuni familiari, stanchi di quel ripetersi di episodi, alla fine avevano deciso di sporgere denuncia alla polizia. Credevano che dietro quei danni ci fosse la mano di chissà chi, magari di uno squilibrato che colpiva nei campisanti.
Nulla di tutto questo. A smascherare i responsabili dei fatti ci hanno pensato le telecamere installate dalla polizia proprio in seguito alla denuncia dei familiari. I video hanno incastrato i marmisti Mario e Bruno Del Maschio, fratelli rispettivamente di 66 e 69 anni, titolari della “F.lli Del Maschio snc”, con sede in via Santa Maria dei Battuti, a due passi dal cimitero.
Erano loro che, secondo le indagini condotte dalla polizia con il coordinamento della sostituto procuratore Patrizia Ciccarese, provocavano i danni sulle tombe dei loro clienti, così da poter contare di beneficiare poi dell’incarico per la sistemazione. Spesso i pezzi staccati dalle tombe erano poi quelli che venivano rimontati una volta che il familiare di turno, trovando la sepoltura del proprio caro rovinata, si rivolgeva immediatamente alla ditta di marmisti perché procedesse alla sistemazione. Oppure i pezzi venivano riciclati per altri interventi sulle tombe.
Per questo i fratelli Mario e Bruno Del Maschio sono stati iscritti sul registro degli indagati con la doppia accusa di furto e danneggiamento. Ieri i loro difensori, gli avvocati Alberto Barbaro e Maurizio Salvalaio, hanno formalizzato il patteggiamento in fase di indagini preliminari davanti alla giudice Barbara Lancieri, che ha dato il proprio consenso. I due hanno dunque trovato l’accordo su una pena di 4 mesi e 20 giorni.
Nel procedimento c’erano anche tre parti offese. Il patteggiamento in indagini preliminari è una scelta particolare perché arriva in una fase in cui non c’è ancora una richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero, ma che garantisce all’indagato di chiudere anzitempo i conti con la giustizia.
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